Luciano Fabro
LUCIANO FABRO
Pavimento-Tautologia, 1967
“[…] La superficie […] deve essere tenuta pulita, lucidata [e] costantemente coperta con carte e giornali. È necessaria una assidua manutenzione perché vengano mantenute le condizioni postulate. Del resto ogni esperienza che riguardi questo manufatto è limitata alla manutenzione.”
Luciano Fabro, Pavimento (tautologia), in “Bit”, n. 5, ED 912 Edizioni di cultura contemporanea, Milano, novembre 1967, p. 7.
a cura di
Gaspare Luigi Marcone
in collaborazione con l’Archivio Luciano e Carla Fabro
LUNEDI 20 NOVEMBRE 2017
ore 18-21
Il 20 novembre, giorno della nascita di Luciano Fabro (1936-2007), The Open Box omaggia l’artista rivitalizzando un suo lavoro che, seppur realizzato cinquant’anni fa, è ancor oggi per noi pregnante (G.L.M.)
Tautologie
“Fino al Cubo [In Cubo] non guardo quello che ho di fronte, ma quello che si verifica quando esso è lì. Il cubo non si vede, il buco [Foro 8mm] non si vede, l’oggetto non c’è.
La tautologia vede le cose una differente dall’altra. Avrei potuto presentare una sedia come sedia, ma non intendevo proporre proposizioni tautologiche: la tautologia mi serviva perché una cosa si definisce non per sé ma per la conoscenza che se ne ha, per la relazione tra sé e la cosa.
Ho provato delle cose molto semplici ma che però avevano sempre un piccolo qualcosa: una lastra ma col buco, vedi il buco non vedi la lastra, e viceversa; un pavimento ricoperto di giornali, ecc. La mia è una crisi tautologica: davanti agli oggetti mi accorgo che sono sordi.”
Luciano Fabro, Tautologie, in Letture parallele IV Luciano Fabro, catalogo della mostra, Milano, Padiglione d’Arte Contemporanea, 17 aprile – 19 maggio 1980, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo, 1980, [n. 6].
“[…] Ho preso una parte del pavimento normale – si tratta di una galleria abbastanza semplice, tipo appartamento, per cui poteva anche richiamare situazioni familiari allo stesso visitatore – e l’ho pulito, lucidato, e poi l’ho ricoperto con giornali. Ma il lavoro non sta tanto qua, quanto nell’abbinamento a una didascalia, a una precisazione, e in questa didascalia appunto dicevo che la fruizione, la lettura di questo lavoro, consisteva solamente – non dico sostanzialmente o anche, ma solamente – nell’operazione stessa, cioè per poter fruire (scusate la parolaccia) di questo lavoro occorreva pulirlo e coprirlo; cioè l’opera consisteva solo nel lavorarci attorno – si tratta di un lavoro che tanta gente fa, le donne di casa lo fanno –, solo in questo preservare, tenere al meglio una cosa, come, mi ricordo, facevano al mio paese, quando pulivano questi pavimenti e poi li coprivano, almeno il primo giorno, di giornali, perché non si sporcassero… c’era questo senso della pulizia, che però non era una pulizia controllata, perché in quel primo giorno, in quei due o tre giorni in cui veniva coperto con le carte perché non si sporcasse nessuno vedeva il pavimento pulito. Però c’era questo modo di considerare il lavoro e di preservarlo non come ostentazione ma come fatto quasi privato, un cercare che non vada a finire in niente una cosa che magari è costata un giorno di lavoro.”
Achille Bonito Oliva intervista Luciano Fabro, Roma, 1977, in A. Bonito Oliva, Dialoghi d’artista. Incontri con l’arte contemporanea 1970-1984, Electa, Milano, 1984, pp. 94-101 [p. 98].
Achille Bonito Oliva intervista Luciano Fabro, Roma, 1977, in A. Bonito Oliva, Dialoghi d’artista. Incontri con l’arte contemporanea 1970-1984, Electa, Milano, 1984, pp. 94-101 [p. 98].
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